La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4038/2022, ha chiarito quando è consentita la libera utilizzazione di un’opera.
Come noto, l’art. 70 l.d.a., prevede che il riassunto, la citazione o la riproduzione di parti di opera siano liberi se effettuati per uso di critica o di discussione. Tali utilizzi non devono però porsi in concorrenza con l’utilizzazione economica dell’opera.
Comprendere la reale estensione di tale uso non è sempre facile. Di seguito analizzeremo una recente pronuncia dalla Suprema Corte sul tema.
Background
La vicenda trae origine dal contenzioso azionato dagli eredi del pittore Mario Schifano.
In seguito alla scomparsa del pittore veniva costituita l’omonima Fondazione. Quest’ultima aveva il compito di conservare e tutelare l’opera del defunto artista. Nel tempo, diveniva un importante archivio delle opere dell’autore.
Gli eredi dell’artista incardinavano diversi procedimenti giudiziari nei confronti della nominata Fondazione. Le decisioni stabilivano che l’ente non potesse usare il nome dell’artista nella propria denominazione.
La vicenda
La Fondazione, oggi denominata Fondazione M.S. Multistudio, nel 2008, pubblicava, insieme all’Università di Genova, un’opera in sei volumi denominata «Studio metodologico». Aveva ad oggetto la catalogazione informatica dei dati relativi ad oltre 24.000 opere figurative di Schifano.
Gli eredi agivano in giudizio denunciando la violazione dei diritti d’autore sulle opere riprodotte ed il perdurante illecito sfruttamento del nome dell’artista.
I primi due gradi di giudizio
Con sentenza pubblicata il 29 aprile 2014, il Tribunale di Milano respingeva le domande formulate dagli eredi dell’autore. Questi proponevano gravame avanti alla Corte di appello di Milano.
In parziale accoglimento, la Corte dichiarava illegittimo l’ulteriore uso, da parte della Fondazione, del nome di Mario Schifano, per il quale era già stata pronunciata inibitoria.
La Corte di merito riteneva tuttavia che la pubblicazione dello “Studio metodologico” fosse legittima.
Secondo i Giudicanti, quanto realizzato, consisteva in uno studio di catalogazione informatica, non avente la finalità di consentire la fruizione artistica della riproduzione delle opere. Negava altresì che lo Studio avesse finalità lucrative.
Gli eredi proponevano ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, pubblicata il 18 aprile 2017.
La decisione della Suprema Corte
Con la sentenza in commento, la Suprema Corte, precisa che, secondo il tenore letterale dell’art. 70 l.d.a., le opere dell’arte figurativa possono essere riprodotte solo parzialmente, nei dettagli, e non nella loro integrità.
La Corte ribadisce poi che la riproduzione di opere d’arte, allorché sia integrale e non limitata a particolari delle opere medesime, non costituisce alcuna delle ipotesi di utilizzazione libera.
La Corte osserva altresì che il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico devono essere strumentali agli scopi di critica o discussione dell’utilizzatore.
Ai sensi all’art. 70 l.d.a. sono lecite le citazioni tratte da un’opera già resa lecitamente accessibile al pubblico “a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo”.
Al fine di valutare la legittimità della citazione, è necessario verificare se la riproduzione non sia eccedente rispetto ai fini indicati.
Secondo la Cassazione, la Corte di merito non effettuava alcuna indagine nel senso indicato.
La Suprema Corte accoglieva pertanto il ricorso principale. La sentenza veniva cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio della causa alla Corte di appello di Milano.